I giorni dello scudetto i rotocchi alla squadra

Vierchowod, l'uomo giusto

Gli uomini determinanti: Dino Viola, poi Falcao. Ma anche il recuperato Ancelotti e soprattutto Pietro Vierchowod, equilibrato, veloce, grintoso

La sera dell' 8 maggio 1983, anche un gruppo di giornalisti conquistò un record, quello del più breve volo di una carriera professionale tendenzialmente agitata, talvolta tempestosa. Viaggiavamo, quella sera dell' 8 maggio '83, sull'aereo che riportava la Roma in sede, dopo la partita di Genova contro i rossoblu allenati da Simoni e in odor di retrocessione: l' 1-1 ottenuto sul campo li salvò, ma soprattutto consegnò lo scudetto alla Roma. La Roma campione d'I talia. «Nove anni dopo di noi», dissero subito i laziali. Semmai, quarantuno anni dopo la prima volta giallorossa. L'aereo, sul quale viaggiava una Roma dalla faccia stravolta da fatica e emozione -gli occhi umidi e increduli-, era diretto a Ciampino. Le notizie dell'occupazione popolare di tutta la zona aeroportuale erano già arrivata a Genova mentre, incalzati da situazioni precipitose, scrivevamo i nostri affannosi servizi. Riviveva tutta la tradizione popolare romanista, in quel momento: c'erano i tifosi della Madonna del Riposo, figli di quelli che avevano dato respiro alla Fortitudo; dei quartieri affollati come nidi di vespe a ridosso dello scomparso Motovelodromo Appio; i vecchi tifosi di Testaccio con le loro ancor fresche canzoni: «C'è Masetti ch'è primo portiere...». E Masetti c'era davvero su quell'aereo, e il «primo portiere» era sempre lui, nonostante la moderna bravura di Franco Tancredi, che ha avuto il torto, lungo tutta la sua magnifica carriera, di mantenere atteggiamenti modesti, quasi intimiditi. Grande virtù umana, che trova però angusto e scomodo spazio nel corredo di un calciatore, e in specie di un portiere, obbligato talvolta ad essere spettacolare come i suoi tuffi. Tutta la zona dell' Appia, tra Capannelle e Frattocchie, era impraticabile. Viaggiavano solo lunghe carovane umane, tra colori accecanti, in quella notte piena di luci sfarzose. L'aereo atterrò in una pista che sembrava una piccola striscia nera in una zona incendiata dai mille colori, ma poi cominciò una concitata attesa. Sudati personaggi andavano e venivano.lnfine arrivò la comunicazione: l'aereo sarebbe ripartito, destinazione Fiumicino. Sarebbe stato impossibile aprire varchi nella folla, e soprattutto sarebbe stato pericoloso tentare di farlo. L'incontro tra tifosi e squadra campione non ci sarebbe stato, almeno quella sera. Un quarto d'ora in tutto, o forse meno: questo fu il record di quel volo. Era arrivato l'uomo giusto, Pietro Vierchowod. Rimase una stagione sola, giusto il tempo per vincere il campionato: e anche questo non è un caso.
Era l'ultimo uomo-scudetto che mancava. Il primo era stato naturalmente Dino Viola, il secondo Paulo Roberto Falcao. L'attribuzione di questi ruoli-simbolo non deve indurre a sminuire il valore e i meriti degli altri. Scriviamo nel maggio 1995 e facciamo un esempio: tutti si sono resi conto, finalmente, che la Lazio di Zeman è una squadra incompiuta. Ormai lo dice anche l'allenatore; tutti gli alibi sono caduti, tutte le mistiche teorie hanno ceduto il passo alla realtà: la Lazio è forte, ma incompleta. Arriverà il giorno in cui Zeman riuscirà a saldare la catena: troverà l'uomo giusto, l'anello di congiunzione, che potrebbe anche non essere un fuoriclasse. Decisivo per quella Roma fu Pietro Vierchowod, ma decisivo fu anche il recupero di Carlo Ancelotti. Nel quadro generale della Roma campione, completato appunto con l'arrivo del formidabile difensore, si tende per esempio a sottovalutare il ruolo di Bruno Conti, che secondo molti non disputò un grande campionato. Vedremo come questa interpretazione dipenda da una errata base di giudizio; da una falsa partenza: di Bruno, ma anche dei critici. Vierchowod era (adesso, dodici anni dopo, sta magnificamente gestendo il suo declino) un difensore dotato di una velocità pari a quella di Mennea. E' un paradosso, ma rende l'idea. Capace quindi di fulminei recuperi. Per questa ragione Vierchowod nei contrasti risultava imbattibile: l'avversario che riusciva a saltarlo, se lo ritrovava subito addosso: non c'era scampo. Aveva un fisico agile e nodoso: Vierchowod faceva male, anche perchè l'idea, talvolta, non gli spiaceva. Aveva improvvise proiezioni in avanti che non alteravano mai gli equilibri tattici. La difesa della Roma, piuttosto pesante in altri elementi, dei suoi recuperi si ègiovata in modo determinante. Vierchowod li ha fatti campare tutti, questa e la verità. E qual era il carattere di questo gladiatore senza mercè? Che buffo: immaginate un pacioccone. Quieto, tranquillo. Buono, fino all' esagerazione. Aveva un sorriso inalterabile, ed era un sorriso d'indifferenza. Stava bene a Roma, diceva, come sarebbe stato bene in qualsiasi altra città: non faceva differenze. La maglia? una devozione assoluta, ma se da giallorossa diventava bianconera, a lui non importava niente: sempre maglia era. E gli amici? Tutti e nessuno. Lo esaltavano solo il rettangolo di gioco, il pallone, l'avversario da battere. Allora il gladiatore ringhiava. Poi, sotto la doccia, ricominciava a sorridere, lontano spiritualmente da tutto quel mondo incasinato: così diceva. Ripartì subito, perchè era in prestito: il presidente della Samp, Mantovani, considerava Vierchowod come un prezioso capitale da investire bene. Quella volta si disse che aveva degli obblighi nei confronti di Viola: ma non si è mai capito quali. Partito Pietro, se ne andò pure lo scudetto.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

 

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